giovedì 13 settembre 2012

Post lungo - scusate

La breve euforia del vedere scritto sulla mia bilancia 53 kg è passata. Stamane di nuovo 54.
Che avrò fatto di sbagliato ieri? 
Non ho avuto episodi di binge, l'unico alimento fuori pasto è stata una mela verso le 11, non volendo annoverare nella categoria degli alimenti delle caramelle senza zucchero alla liquirizia.
Avrò sbagliato il pranzo? ho mangiato un piatto di lenticchie (senza olio), una fetta di giuncata (un formaggio light e insipido) e un kiwi.
E la sera di nuovo un piatto di minestrone, un cucchiaio di ricotta, 1/2 pomodoro e un po' di finocchio, un kiwi, una tisana alla fragola perché avevo ancora fame.
E stamattina ho mal di pancia e non so se sia la fame o la rabbia.
No, non c'entra il mio peso, o forse anche, c'entrano molte altre cose che a questo mondo dovrebbero lasciarmi indifferente e invece mi creano ancora tensione.
Ieri sera ero a tavola con mio padre e parlavamo di un problema che ha interessato mia sorella che attualmente non vive con noi, un problema che ha inciso fortemente sulla sua vita professionale, che a mio parere potrebbe riproporsi in molti altri campi della sua vita, per molto tempo e che è curabile con qualche anno di psicoterapia. Lei difetta di assertività.
Premetto che io ho passato un paio d'anni in psicoterapia, da adulta, sebbene i primi disturbi da borderline si fossero già manifestati intorno ai 15/16 anni, ma essendo sottoposta alle amorevoli cure dei miei genitori, leggi la stretta patria potestà, loro decisero che non si sarebbero rivolti a uno specialista.
Ieri sera parlando con mio padre, è emerso che lui non crede nella psicologia e nella capacità che ha un terapeuta di curare la psiche, che ognuno è curatore di se stesso e che nelle molte prove che la vita gli ha offerto lui ha cercato in sé la spiegazione e la forza per reagire a questo evento.
Stante che non è un monaco tibetano, ma una persona del nostro tempo, vissuta nei confini di una città, che vi giuro è dimenticata da tutti, ciò non mi ha sorpreso, mi ha fatto pensare ancora una volta alla sua presunzione ed arroganza, mi sono chiesta come può una persona malata credere di poter guarire con le sue forze se sono le sue forze ad essere malate, e chi gli dà la patente di "guarito", chi gli dà il potere di incidere con la sua malattia sulla vita e sulla malattia degli altri e impedire agli altri di guarire o almeno di curarsi. 
Io non sono stata curata da giovane, perché lui non ci credeva e mi sono portata addosso i miei disturbi in età adulta, finché mi sono resa conto che con essi avrei potuto fare del male agli altri (eventuale compagno, eventuali figli) oltre che a me stessa. Ero un groviglio di DCA, senso di abbandono, depressione, ansia e violenza.  
Io sono stata una bambina (e qui mi manca la parola per definire cosa sono stata, mi manca l'aggettivo.... come si dice quando una bambina è sottoposta a continue violenze psicologiche e fisiche, minacce, privazioni di cibo?), i primi episodi di violenza li ricordo che provenivano dall'alto, mentre io ero nella culla, più in là  alternavo atteggiamenti di isolamento che venivano scambiati per timidezza a episodi di violenza, ero triste, piangevo per motivi che ai bambini dovrebbero essere sconosciuti, avevo vergogna che si sapesse in giro che venivo picchiata, che si vedessero i segni, avevo paura che mio padre se ne andasse di casa e mi lasciasse in balia di mia madre che mi picchiava molto e spesso, allo stesso tempo gli auguravo di andarsene e di essere libero, ma al contempo sprofondavo nella vergogna quando immaginavo il disvalore sociale che mi avrebbe accompagnato come figlia di divorziati (stiamo parlando di una realtà meridionale di 25 anni fa e anche più).
Questo ha significato che io avessi paura fisica di mia madre, almeno fino all'età adulta, che la prima carezza che io ricordi è stata nel 2008, che nella vita ho sempre cercato di riempire questo vuoto in tutti i modi possibili, che le mie scelte in ogni campo sono state fortemente condizionate, se non imposte dalla volontà dei miei genitori, perché per quanto io fossi forte io avevo paura di essere picchiata e di morire.
Sapevo indurmi il vomito come segno di ribellione cacciandomi il bavaglino in bocca e questo mi faceva sentire enormemente forte. Credo che avessi sui 3 anni.
Una volta, da bambina, feci un patto con Dio (allora ancora ci credevo). Gli chiesi per favore di far cessare  le botte e di lasciarmi in vita. perché io temevo di essere uccisa, in cambio sarei stata buonissima e mi sarei fatta suora da adulta. Era la settimana di Pasqua.
In quei giorni accadde un fatto di violenza estrema a casa e io mi salvai per miracolo. Non volli più dire una preghiera.
Nessuno seppe niente, io non potevo parlare anche perché sapevo che non sarei stata creduta.
Sapevo che tutti i telefoni azzurri del mondo non mi avrebbero salvato, che i carabinieri, la polizia non mi avrebbero mai creduta, neanche la maestra. Io non potevo dire la verità neanche alla nonna, che col senno di poi io credo sapesse tutto.
Appena compiuti 18 anni sono stata ben felice di essere messa gentilmente alla porta dalla mia famiglia, con la gelida frase di mio padre "in questa casa non c'è spazio per te e tua madre insieme". Ho fatto di tutto per accettare le scelte che loro compievano per me: cosa dovessi studiare (giurisprudenza), dove dovessi vivere (istituto religioso), chi dovessi frequentare, ecc. La mia speranza era sempre che se fossi stata buona e all'altezza delle loro aspettative prima o poi mi avrebbero amato, ma ogni giorno le richieste aumentavano, l'asticella si spostava sempre più su e cresceva la mia frustrazione nel non raggiungere mai la degna considerazione. 
Con la frustrazione arrivarono i problemi alimentari e insieme un binge sessuale del quale io ancora non mi capacito. Solo in quei momenti io potevo essere libera, ingurgitando cibo e ragazzi con la stessa noncuranza e rabbia. Non mi interessava assolutamente niente di nessuna di queste due categorie, non cercavo il "panino buono in quel bar" o "il ragazzo più figo del quartiere". Io dovevo riempire un vuoto, con quantità mostruose, salvo poi disfarmene un minuto dopo. 
Ho protratto questi atteggiamenti per anni e anni, rendendomi conto solo ora a quanti pericoli mi sono esposta, di salute innanzitutto (vomitare e avere rapporti sessuali promiscui). 
Ancora ora, ogni tanto mi ritorna, ma per fortuna mi viene prima su il senso del ridicolo. Saranno un paio di anni che non ho binge sessuali, purtroppo binge alimentari sono stati frequenti almeno fino a un mese fa, ma con quantità davvero ridotte rispetto al passato.
Ho un peso che potrebbe essere inferiore, potrebbe essere superiore, ma che non mi crea enormi problemi, gli episodi, ora di digiuno, ora di binge, sono contenuti.
Ho una storia d'amore molto forte che non metterei mai a rischio solo per dolore.
Se la psicoterapia non serve a nulla, ditemi come ho raggiunto questo.
-continua...-

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